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P38

Al volante della macchina, imbottigliato nel traffico, lento, opprimente, melmoso. Otto e trenta. Almeno un'altra mezz'ora di sofferenza…

Mi ricordo che la lasciai in mezzo alla strada. Portiera aperta, ancora in moto. Non ero lontano dall'aeroporto.

-Un biglietto per Marsiglia. Andata soltanto.

Con la fronte premuta contro il finestrino contavo le nuvole sotto di me. Il sonno mi abbracciava lentamente.

Guy era un vecchio amico di mio padre. Fu lui a trasmettermi l'amore per il mare, a lungo rinchiuso, poi, in fondo al mio cuore. Lo trovai facilmente nel vecchio porto di Marsiglia.

-Allora, ti sei finalmente deciso. La barca è pronta per salpare.

Il sole si spegneva con un forte bagliore rosso, affondando nel mare. Ero in piedi sulla prua e lasciavo che il vento mi accarezzasse i capelli. Eravamo diretti verso la Corsica, pronti a realizzare un sogno.

Il risveglio sulla barca fu accompagnato dalle grida dei gabbiani. Guy stava pulendo i pesci pescati all'alba.

-La rotta è giusta?

-Giusta? E' difficile dirlo, seguendo il sogno di qualcuno….

Passai il resto della giornata appollaiato in cima all'albero maestro. Scrutavo l'orizzonte in ricerca delle navi pirata. Con la mano destra stringevo la spada, pronto a reagire ad un attacco improvviso.

-Hai circa sessanta minuti di autonomia. Devi seguire la dorsale rocciosa che si intravede a dieci metri di profondità.

Una volta in acqua, sotto di me scorsi un'ombra. Una grossa cernia si chiedeva la ragione della mia visita.

-Mi perdoni il disturbo, sono alla ricerca di un relitto. Di un aereo, ad essere preciso. E' precipitato in questa zona durante la seconda guerra mondiale. Non vorrei offenderla, ma mi sembra che lei possa ricordare un evento simile.

La smorfia della cernia mi fece capire che ricordare l'età ad una signora non è un gesto da galantuomini.

-Mi aiuti. Per favore!

Con un forte colpo di coda il grosso pesce si spinse verso il basso.

Cercai di seguirla, consumando velocemente l'ossigeno a mia disposizione, ma la persi nel giro di pochi minuti. Facevo fatica a distinguere le forme nella penombra. Guardai il profondimetro. Sessanta metri. Troppi…

Mi girai di scatto. Qualcosa aveva sfiorato la mia spalla.

Era lì. Dopo molti decenni, era ancora lì. Riuscivo a distinguere la coda del P-38 Lightning. L'aereo dell'ultimo volo di Antoine de Saint-Exupéry. Toccai la fusoliera, ricoperta dal corallo, cercando di sentire il metallo sottostante. Mi avvicinai alla cabina del pilota. Vuota. Ancora un respiro profondo. Un dolore lacerante scosse i miei polmoni. La riserva d'ossigeno, pensai. Mi spinsi verso la superficie. Sapevo di rischiare, con una risalita così veloce, ma ero anche conscio che l'ossigeno non sarebbe bastato per la necessaria decompressione. Sentivo le vene della fronte gonfiarsi, mentre mi avvicinavo alla luce. Poi; il buio. Mi risvegliai bagnato dalle onde sulla spiaggia. Sollevai la testa, pesante come un sasso.

Fu allora che udii quella voce cristallina:

-Mi disegni, per favore, una pecora?